Il grande inganno lunare ci insegna il bias di autorità

Correva l’anno 1833 quando Sir John Herschel partì per un lungo viaggio in Sud Africa portando con sé due telescopi. Cosa andava a fare in Africa con questi preziosi strumenti? John Herschel era un noto scienziato, ancora oggi lo ricordiamo per le sue grandi scoperte. Nel 1831, ossia due anni prima, aveva ottenuto il titolo nobiliare, più avanti sarebbe stato nominato presidente della Royal Astronomical Society. Il suo nome è addirittura legato allo sviluppo della logica induttiva. Contribuì al miglioramento della dagherrotipia, calotipia e antotipia (procedimenti fotografici dell’epoca, oggi quasi solo un ricordo per veri appassionati). Fu il primo ad utilizzare il calendario giuliano nell’astronomia, scoprì che le nubi di Magellano sono formate da stelle, lavorò nel campo delle stelle doppie (nel 1824 aveva pubblicato un catalogo delle stelle doppie, la sua opera maggiore, al quale aveva contribuito sua zia Caroline Herschel), degli ammassi stellari, della cometa Halley, delle nebulose e lì in Africa secondo alcuni fece le sue più bizzarre e rumorose scoperte.

Ma oggi, gli appassionati di fisica e di astronomia, preferiscono non parlare di questa storia, della storia africana, perché potrebbe sembrare macchiare la scienza di un grande errore (anche se sappiamo bene quanto gli errori e la cultura che abbiamo su di essi sia un punto di forza fondamentale nel fare e dubitare scientifico. Ma decisamente non in questo caso!).

torniamo al viaggio. Due anni dopo si ebbero notizie strabilianti.

“New York Sun” pubblicò il primo articolo firmato dal dottor Andrew Grant, compagno di viaggio di Herschel. L’articolo esaltava inizialmente il particolare telescopio di Herschel per poi accennare alle eccezionali scoperte sulla superficie lunare che sarebbero state svelate SOLO negli articoli successivi. Quel giorno le vendite del quotidiano salirono a dismisura. La seconda parte del resoconto rivelava la scoperta di mari e praterie lunari, descrivendo la ricca flora nel dettaglio (c’erano perfino dei fiori rossi mai visti prima!). Ma non è tutto, la Luna era abitata da bisonti lunari, animali di colore blu che manco avatar e l’articolo si concludeva con la descrizione dell’unicorno lunare.

New York Sun, a quel punto, divenne il più grande quotidiano del mondo.

I successivi resoconti continuavano a rivelare incredibili (già) meraviglie. Il 28 agosto 1835 venne rivelata la presenza di esseri umanoidi intelligenti extraterrestri. Creature eleganti dotate di ali enormi e capaci di conversare come gli umani e di produrre opere d’arte. Erano gli Uomini Pipistrello. I resoconti permisero agli americani di scoprire lo stile di vita degli extraterrestri lunari.
 
Quando un libro con le traduzioni si diffuse in Italia, comparvero nuovi dettagli non presenti nelle versioni originali americane, quasi di sicuro aggiunte fantasiose del traduttore.
Ovviamente il mondo scientifico non ne rimase indifferente. I resoconti vennero letti da François Arago (noto astronomo, fisico e matematico francese) in una riunione dell’Accademia delle Scienze. La reazione di molti colleghi fu una grande risata. Dopotutto, grandi teorie richiedono grandi prove, non grandi racconti pubblicati periodicamente come fosse una serie televisiva moderna. Ed effettivamente le pagine matematiche del resoconto erano state omesse perché di nessun interesse per il lettore medio. Lo scetticismo è un’arma di difesa contro bufale ed errori, non contro la realtà, perciò gli scienziati decisero di continuare le indagini. Al tempo il celebre Alan Poe era giornalista e contribuì nell’azione. Venne alla luce la verità: non esisteva alcun supplemento matematico e si scoprì che in realtà il collaboratore di Herschel era frutto della fantasia di qualche menzognero. Il collaboratore non era mai esistito. Herschel dichiarò di essere estraneo alla faccenda e si mobilitò per smentire le bizzarre teorie a lui attribuite. Alan Poe quindi accusò apertamente New York Sun di aver copiato dai suoi racconti di fantascienza. Partì un domino quasi divertente di accuse e passaggi della palla. Chi era il responsabile di questo grande inganno e quali erano i suoi scopi? Ridicolizzare l’astronomia? Aumentare esponenzialmente le vendite del quotidiano? Al tempo in ambito scientifico si iniziava già a teorizzare la possibilità di incontrare vita extraterrestre (la pluralità dei mondi abitati è una speculazione che risale almeno dai lontanissimi tempi di Talete e che ha toccato più o meno tutte le epoche storiche. Ricordiamo per esempio Giordano Bruno, condannato come eretico e messo al rogo nel 1600, il quale aveva ipotizzato l’esistenza di molti mondi abitati da creature extraterrestri, cosa impensabile in un’epoca dominata con la forza dal cristianesimo che vedeva la Terra e l’essere umano al centro del mondo). 

Le bufale oggi sono molto diffuse ma non sono molto diffuse le nozioni di base per proteggerci da esse e per individuare le vie del debunking. Dopotutto non possiamo sapere tutto di tutto, ma possiamo allenarci a considerare i bias cognitivi e l’attendibilità delle fonti in un contesto. Al tempo di Herschel già molti editori preferivano divertire e stupire piuttosto che informare correttamente, atteggiamento che contribuisce nell’incremento delle vendite e nell’arricchimento di chi spaccia news qualsiasi invece che sapere di qualità. La credibilità non era la ragione principale per prendere i giornali, come citato dal Museo delle bufale (http://hoaxes.org/).

Il mondo delle bufale è ricco e vasto, come lo è il suo mercato. Ma fortunatamente, in scienza, le bugie hanno le gambe molto corte. Le testate specialistiche serie verificano le teorie prima di pubblicarle, tramite una revisione tra pari. Se qualcosa non torna, la teoria è da ricontrollare. Andare a caccia di errori non è una pratica vergognosa riservata a chi non è tanto bravo, è una tecnica importantissima che permette agli scienziati di verificare e migliorare le proprie teorie. Nel mondo scientifico non importa chi sei e cosa dici ma quali sono i dati che porti. Chi si basa invece sulle parole (note per essere in grado di creare grandi inganni e manipolazioni) o sull’importanza attribuita al nome di una persona (l’inganno del principio di autorità spiegato con un esempio: questa persona ha detto una cosa giusta quindi le dirà giuste per sempre. Una persona di scienza, o con buon senso, dovrebbe invece sapere bene che: quella cosa l’ha fatta giusta e gli riconosco tutto il merito ma tutti gli altri casi sono esattamente altri casi, questo scienziato non è un dio, è un umano e l’errore è umano, non che sia un’offesa, è semplicemente la natura, dovremmo disabituarci a percepire ciò come offensivo per la nostra reputazione!). Capita infatti che alcuni scienziati possano avere degli abbagli, ossia credere di aver scoperto qualcosa di sensazionale ma essersi sbagliati. In genere qui succede che gli spacciatori di news fresche non aspettino il controllo e la validazione della teoria ma partano subito con titoli sensazionalistici ed articoli fuorvianti. Quando poi gli scienziati scoprono l’abbaglio individuale o collettivo, le testate poco serie non sempre ritirano gli articoli fuorvianti e il mito continua come se avesse vita propria (Vedi vicenda dei neutrini superluminali in cui i quotidiani hanno parlato troppo e prima delle verifiche degli scienziati, generando ancora una volta sfiducia verso il rigore scientifico). Alcuni scienziati però non sono disposti a lasciare le proprie teorie quando queste vengono dimostrate come false (solitamente false a causa di errori sperimentali o nell’interpretazione di dati ottenuti male), può capitare che scienziati poco noti ma anche illustri Nobel prendano una strada sbagliata e ci si affezionino al punto da non essere in grado di lasciarsi anni di ricerca alle spalle, continuando così a sostenere teorie errate ed entrare, spesso definitivamente, nel mondo delle bufale in buona fede o da truffatori consapevoli e interessati, dove faranno di tutto per diventare eroi controcorrente puntando a convincere persone piuttosto che contribuire al sapere comune.

Irving Langmuir coniò un termine per indicare l’atteggiamento di quegli scienziati che continuano a sostenere idee ragionevolmente smentite dal resto della comunità dei ricercatori: scienza patologica. Una malattia della scienza causata dal fatto che dopotutto gli scienziati non sono macchine, sono imperfettissimi e comunissimi umani che praticano l’attività più affidabile, attività che non si basa sulle opinioni ma su sensate esperienze e dimostrazioni necessarie. 
 
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Le immagini provengono da wikipedia, da hoaxes e da www.alessialorenzi.it
 
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